L'Opinione

di Ciro D'Aries

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Mer 17 Giugno 2020

Relazione Colao - La poca cultura aziendale presente nella P.A.

di Ciro D’Aries

Sicuramente non c’era bisogno che lo dicesse Colao nel proprio Piano per il rilancio del nostro Paese ma è bene – a questo punto – partire da tale assunto, visto che il Governo dovrebbe, quantomeno, recepire quanto riferito da soggetti terzi in un momento delicato come quello che stiamo attraversando.

Al punto 4.4. la Relazione Colao mette in luce la grave situazione di “sofferenza” della situazione di inefficienza, soprattutto al confronto con gli altri Paesi europei e ciò a causa di “una cultura che privilegia le procedure rispetto ai risultati” oltre che alla qualità dei servizi al di sotto dei migliori standard internazionali.

Inoltre, ed è questo un elemento su cui riflettere è che la PA risulta “sbilanciata” verso le competenze giuridiche.

La Pubblica Amministrazione tutta ha bisogno concretamente di un approccio gestionale di tipo manageriale basato su informazioni economico-patrimoniali, da cui trarre informazioni sulla “economicità della gestione”, in ossequio ai tanti principi – mai rispettati – legislativi e Costituzionali (per tutti l’Art. 97 Cost.).

Con la Contabilità Finanziaria lo Stato e tutta la PA è fallita!

Basta considerare l’enorme Debito Pubblico accumulato che brucia miliardi di interessi ogni anno, la scarsissima Produttività, la scarsa Qualità dei Servizi Pubblici, ecc..

Solo con una cultura dei risultati è possibile:

  • Responsabilizzare effettivamente i vari Attori Politici e Dipendenti della PA;
  • Aumentare la Produttività e la Utilità della Spesa Pubblica che necessità di una concreta riduzione a vantaggio dell’aumento della Economicità;
  • Aumentare la “qualità” dei Servizi ai Cittadini, per un concreto Sviluppo Economico, Civile e Culturale del ns. Paese!

Nel corso di decenni abbiamo assistito a continue problematiche e ad infiniti dibattiti intorno alla riduzione della spesa pubblica ma mai abbiamo sentito parlare di “utilità” della spesa pubblica.
Abusiamo dei termini di “economicità, efficacia ed efficienza”, senza sapere fino in fondo cosa significhino e cosa comportino in termini di adozione di quali strumenti gestionali.
E così la spesa pubblica – nonostante le varie manovre di spending review – ha continuato a crescere ma nessuno riesce a dimostrare cosa quella spesa abbia prodotto in termini di utilità.

Nonostante la legge n. 142/90 che aveva segnato uno spartiacque nella cultura della contabilità pubblica, esigendo la dimostrazione della “economicità della gestione”, oggi assistiamo semplicemente ad un’attenzione gestionale focalizzata sull’aspetto finanziario, permettendo una gestione svincolata dai risultati che quella spesa deve produrre, per essere innanzitutto “legittima”.

La legge 174/2012 ha introdotto il nuovo sistema dei controlli interni, con l’obbligo da parte degli enti locali di monitorare i vari obiettivi a cui la gestione dovrebbe tendere, attraverso una buona programmazione. Tuttavia è invalso negli enti locali una mentalità semplicemente adempimentale di tali strumenti; per tantissimi enti basta un semplice software che elabori qualche diagramma e qualche indicatore che consenta agli amministratori di riposare in tranquillità: l’adempimento è rispettato e tutto prosegue come prima.

Da anni in dottrina ci si batte per una cultura dei risultati, misurando prima e dopo cosa si è speso per raggiungere quei risultati; occorre preventivamente dichiarare – in forma solenne – quali obiettivi una qualunque amministrazione intende raggiungere attraverso il quadro delle proprie risorse, che ricordiamo sono finanziarie, umane e strumentali.
Viceversa, si assiste ad una mentalità distorta dove il risultato è semplicemente una vaga descrizione, non quantificabile sotto diversi profili compreso quelli qualitativi, di quello che si è fatto.

Siamo pieni di norme, di controlli eppure assistiamo increduli a fenomeni sconcertanti di corruzione pubblica ove fiumi di danaro prendono corsi non legali e per i quali i bilanci degli enti pubblici di riferimento nulla rilevano!

Anche le norme sulla trasparenza sono vissute quale adempimento formale e non sostanziale.

Occorre ripartire daccapo; in oltre un ventennio concretamente non siamo riusciti a far prevalere la sostanza rispetto alla forma; ed ecco che all’apparenza tutto quadra, tutto è in regola mentre dentro la gestione languono procedure illegali, di distrazione delle risorse pubbliche verso finalità più o meno illecite più o meno inefficaci.

Siamo convinti come cittadini che l’enorme pressione fiscale italiana sia dovuta anche – se non in via prevalente – ad una spesa pubblica innanzitutto inefficace e illegale nel suo utilizzo?

Basterebbe far prevalere semplicemente la sostanza rispetto alle formalità che siamo esageratamente stufi di rispettare consumando conseguentemente del tempo che potrebbe essere utile impiegare in modo più utile ed intelligente.
E per far questo dobbiamo pretendere anche come cittadini che ci sia una rendicontazione veramente trasparente di cosa un ente pubblico – locale o statale – ha speso e per quali risultati, quest’ultimi chiari e confrontabili rispetto a quelli preventivati prima che inizi la gestione.
Nei paesi anglosassoni ciò si chiama “accountability” ed è facilmente dimostrabile con dei semplici report di tipo aziendale ove cogliere tutte le informazioni utili.

Occorre pretendere qualcosa del genere anche in Italia, dove ha sempre regnato tanta burocrazia e tantissimi adempimenti inutili e forieri di corruzione e di spesa illegale.
È tempo di una sana e utile mentalità; che i cittadini in primis sentano questa esigenza costringendo attraverso un controllo sociale chi gestisce la cosa pubblica ad adoperarsi per una vera trasparenza sottesa ad una reale capacità gestionale degli enti pubblici di tipo aziendale.

Basta con la sola informazione “finanziaria”!