La ricapitalizzazione per perdite di una società a partecipazione pubblica

Tabella dei Contenuti

L’eventualità della ricapitalizzazione sopra il livello minimo – fermo restando che nel rispetto dei principi di proporzionalità ed efficienza della spesa pubblica non potrebbe operarsi, per la società a partecipazione pubblica in dissesto, una ricapitalizzazione al di sopra del limite – può legittimarsi solo se l’operazione, analiticamente motivata dall’Ente pubblico Socio ai sensi dell’art. 5, comma 1 del TUSPP, faccia parte di un idoneo piano di risanamento dal quale sia possibile rinvenirsi le ragioni speciali sottostanti tale scelta strategica.

1. Premessa

La Corte dei Conti, Sez. Controllo del Lazio (n. sentenza n. 76/2022/PAR), con riferimento ad un quesito posto da una Provincia sul coordinamento applicativo dell’art. 2447 c.c. con lo stato di dissesto finanziario di una Società pubblica, riconducibile alla previsione di cui all’art. 14, comma 5 del TUSPP, ha ritenuto necessario, data la specifica casistica attinente alla possibilità dell’Ente di ricapitalizzare la società per un ammontare superiore al mimino legale del capitale sociale, dover analizzare il quadro sistematico della normativa civilistica con quella pubblicistica che regola la crisi dell’impresa societaria e il divieto di soccorso finanziario.

2. La ricapitalizzazione del capitale di cui all’art. 2447 c.c.

L’art. 2447 c.c. stabilisce che se la Società dovesse incorrere in perdite, superiori al terzo del capitale sociale, che riducono il capitale al di sotto del minimo legale, l’organo amministrativo deve “senza indugio” convocare l’assemblea per deliberare la riduzione del capitale sociale e il contemporaneo aumento del medesimo “a una cifra non inferiore al minimo”, o la trasformazione della società. In mancanza di tali due ipotesi la società rientrerebbe nella casistica di scioglimento di cui all’art. 2484, comma 1, n. 4, c.c..

Pertanto, nei casi di riduzione del capitale sociale al di sotto del minimo legale, la società partecipata e, per essa, il socio pubblico, nel caso di società a partecipazione pubblica, sono chiamati a effettuare una scelta discrezionale tra le seguenti alternative:

  • Scioglimento della società mediante avvio della fase di liquidazione: (i) lo scioglimento della società si produce automaticamente ed immediatamente, salvo il verificarsi, con efficacia retroattiva, delle condizioni risolutive di cui ai punti successivi; (ii) a mancata adozione da parte dell’assemblea dei provvedimenti di azzeramento e ripristino del capitale sociale o di trasformazione della società in altro tipo, compatibile con la situazione determinatasi, non esonera gli amministratori dalla responsabilità conseguente al proseguimento dell’attività d’impresa in violazione del divieto di nuove operazioni tali da pregiudicare il principio di conservazione dell’integrità e del valore del patrimonio sociale (Cfr. Cass. civ., Sez. I, sentenza n. 9619 del 22 aprile 2009);
  • Trasformazione della società in Società di Persone o di Capitali a Responsabilità limitata: nel caso di trasformazione da S.p.A. in S.r.l. l’operazione potrà procedere sempre che il valore del capitale sociale residuo non sia inferiore al minimo previsto per il tipo societario prescelto;
  • Conservazione della Società mediante ricapitalizzazione ad una cifra non inferiore al minimo previsto dalla legge.

In particolare, a differenza della perdita di cui all’art 2446 c.c. il cui adempimento può essere “spostato” sino all’esercizio successivo (c.d. “rinvio a nuovo”), nel caso di perdita, specificatamente quella oltre il terzo del capitale e tale da ridurre il capitale sociale al di sotto del livello minimo previsto per legge, l’Organo Amministrativo è chiamato ad intervenire tempestivamente convocando l’Assemblea che dovrà assumere senza possibilità di rinvio, gli opportuni adempimenti. Sul punto, osservando la locuzione “senza indugio” a cui il Legislatore fa ricorso nel testo della norma, l’orientamento prevalente della Giurisprudenza e della Dottrina, in assenza di un termine perentorio previsto dalla norma e tenuto conto della regola generale di cui all’art. 2631, comma 1, c.c. (“…ove la legge o lo statuto non prevedano espressamente un termine, entro il quale effettuare la convocazione, questa si considera omessa allorché siano trascorsi trenta giorni dal momento in cui amministratori e sindaci sono venuti a conoscenza del presupposto che obbliga alla convocazione dell’assemblea dei soci”), è quello di considerare un termine di trenta giorni, decorrenti dal momento in cui gli Amministratori hanno accertato la perdita del capitale (cfr. Pinna, Comm. Maffei Alberti, III, 2118; Galletti, sub art. 2482-bis c.c., in Abriani Stella Richter, Codice commentato delle società, 2102; Zanarone, Comm. Schlesinger, Della società a responsabilità limitata, II, 1670).

Infine, è da precisare in merito alle modalità di approvazione dell’intervento, come analizzato anche dal Consiglio Notarile di Milano con Massima n. 38 del 19 Novembre 2004, che “la deliberazione di azzeramento del capitale sociale o comunque di riduzione al di sotto del minimo legale, per perdite, con contestuale sua ricostituzione ad un importo almeno pari al minimo legale, può essere legittimamente assunta qualora l’esecuzione dell’aumento:

a) avvenga in assemblea (ferma la necessità di garantire, con gli opportuni mezzi, il rispetto del diritto dei soci di sottoscrivere le nuove partecipazioni, nell’esercizio dell’opzione); oppure:
b) sia consentita, dalla delibera stessa, in epoca anche successiva all’assemblea, purché entro i termini di tempo che l’assemblea fissa, nel rispetto delle disposizioni di legge, non eccedendo il tempo necessario per il realizzarsi delle condizioni, di natura sostanziale e procedimentale, che l’esecuzione dell’aumento richiede.“

3. La ricapitalizzazione e il divieto di soccorso finanziario delle società partecipate

Con riferimento alle operazioni di ricapitalizzazione della Società a partecipazione pubblica, nel tempo è stato sempre più forte e deciso l’intervento interpretativo della magistratura contabile nel segnalare come le ricapitalizzazioni rappresentino uno dei tipici interventi attraverso i quali il Socio pubblico destina risorse finanziarie, anche a volte consistenti, alla copertura delle perdite aziendali senza che sussistano i necessari requisiti e sottraendo, conseguentemente, risorse di parte corrente ai fini istituzionali, per sostenere una non corretta governance societaria, riconducendo, sostanzialmente, i relativi oneri sulla collettività amministrata.
Pertanto, nella logica di evitare il procrastinarsi di situazioni di inefficienza nell’allocazione delle risorse pubbliche e tenuto conto del perseguimento di una maggiore efficienza delle società pubbliche, il legislatore italiano ha introdotto norme volte ad assicurare un più stringente controllo sull’allocazione delle risorse da parte delle pubbliche amministrazioni, evitandone indebiti utilizzi a favore delle società partecipate. In particolare, con riferimento al caso della ricapitalizzazione societaria, spiccano i forti limiti imposti dal TUEL, con gli artt. 194 e ss., e il TUSPP con l’articolo 14.

In coordinamento con le previsioni del TUSPP, il TUEL all’art. 194 limita la procedura di riconoscimento da parte dell’Ente locale dei “Debiti Fuori Bilancio”, prevedendo, per il caso della Società di capitali costituita per l’esercizio di servizi pubblici locali, la ricapitalizzazione nei limiti e nelle forme previste dal codice civile o da norme speciali. Sul punto, tuttavia, come precisato dalla Corte dei Conti (Sez. Regione Lombardia, parere n. 96/2014) si deve ritenere che l’operazione di ricapitalizzazione non deve mai riconoscersi quale azione obbligata per la pubblica amministrazione, bensì facoltativa in quanto nell’autorizzare il provvedimento dovrà evidenziare le ragioni per le quali non si prende atto dello scioglimento della società ai sensi dell’art. 2484, n. 4 c.c., ma piuttosto si decide di ricapitalizzarla:

  • Ciò in quanto, precisa la Corte, la scelta da intraprendere, fermo restando la discrezionalità della decisione in capo all’Ente pubblico Socio, deve tener conto sia della capacità della società di tornare in equilibrio (previa valutazione di un piano industriale pluriennale) sia dei possibili rischi di squilibri finanziari per il bilancio dell’ente proprietario;
  • Rischi, quest’ultimi, che devono essere ampiamente valutati ma soprattutto individuati e gestiti ex ante l’operazione, al fine di comprendere se sia possibile procedere anche con soluzioni diverse dalla ricapitalizzazione. Si deve ricordare, infatti, come indicato al Principio n. 2 – punto 108 dell’Osservatorio per la finanza e la contabilità degli enti locali, che “il riconoscimento del debito deve prevedere anche una valutazione sulla progettazione e organizzazione dei controlli interni che devono ricomprendere il controllo sugli organismi partecipati e l’organizzazione del monitoraggio sull’andamento gestionale dei medesimi”.

Alla luce della richiamata norma, con l’introduzione dell’art. 14, comma 5, TUSPP, il Legislatore ha sancito – nell’ottica del contenimento e della razionalizzazione della spesa pubblica, ma anche nel rispetto della concorrenzialità del mercato – un ulteriore rafforzamento dei vincoli di spesa pubblica prevedendo l’abbandono, rispetto al passato, del presupposto di “salvaguardia obbligatoria” degli organismi pubblici in condizione di irrimediabile dissesto, regolando, di fatto, un preciso “divieto al soccorso finanziario” consistente nell’erogazione da parte dell’Ente locale di erogazioni finanziarie, anche a “fondo perduto”, dirette a ripianare gli squilibri della Società partecipata (Cfr. Corte dei Conti, Sez. Contr. Lazio, 8 n. 66/2018/PAR; Corte dei Conti, Sez. Contr. Lazio, 1/2019/PAR).
Tutto ciò fatte salve tre ipotesi richiamate dai commi dell’art. 14 TUSPP:

  • La prima, regolata dai commi 2-4 del predetto articolo, ascrivibile ai casi in cui emergano “uno o più indicatori di crisi aziendale” della società che potrebbe ricevere dall’Ente Socio qualsiasi forma di soccorso finanziario, a condizione che lo stesso sia programmato nell’ambito di un idoneo piano di risanamento dal quale risulti comprovata la sussistenza di concrete prospettive di recupero dell’equilibrio economico della Società;
  • La seconda – regolata al comma 5 dell’articolo – che si presta ed essere più restrittiva, dato il caso di un’occorsa e profonda crisi della società a partecipazione pubblica in perdita per tre esercizi consecutivi, limitando gli aumenti di capitale, salvo quanto previsto dagli articoli 2447 e 2482-ter del codice civile, e/o i “trasferimenti straordinari” in favore della società solo quando i medesimi risultino previsti da un piano di risanamento approvato (non solo) dalla società, ma anche dall’Autorità di regolazione del settore, ove esista, e comunicato alla Corte dei conti. Il piano deve essere idoneo ad assicurare il raggiungimento dell’equilibrio finanziario entro tre anni;
  • La terza – prevista all’ultimo periodo del comma 5 dell’articolo – con cui si prevede l’eccezionalità dell’intervento commisurato alla necessità di salvaguardia della continuità della prestazione del servizio di pubblico interesse purché, chiaramente, la richiesta di intervento dell’Amministrazione pubblica venga autorizzata con Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri.

4. Il coordinamento fra Codice Civile e TUSPP

Alla luce delle finalità perseguite dal Legislatore – ovvero di razionalizzazione ed efficienza della spesa pubblica – appare, dunque, logico comprendere la ratio della locuzione “salvo quanto previsto dall’art. 2447 c.c.” posta all’interno dell’art. 14, comma 5 del D.lgs. 175/2016 (TUSPP), ovvero sia quella di subordinare il ripristino del capitale sociale minimo alla sussistenza di effettive prospettive di risanamento della società a partecipazione pubblica, soprattutto se in stato di crisi ‘grave’, evitando, così di fatto, possibili e sistematiche ricapitalizzazioni di società in accertato o evidente stato di decozione che non sono più in grado di proseguire utilmente (Cfr. Corte dei Conti, Sez. reg. contr. Lombardia, n. 106/2017/PRSE).
Dunque, la ricapitalizzazione della società a partecipazione pubblica, quale strumento di conservazione dell’impresa in stato di crisi ‘grave’, può ammettersi solo e soltanto in presenza di un’operazione adottata per mezzo di un idoneo piano di risanamento. Piano che, ricorda la Corte dei Conti, dovendo essere autorizzato anche dall’Autorità di regolazione del settore, laddove previsto, conferisce all’operazione la necessaria attendibilità/fattibilità economico-finanziaria sulla cui base il socio pubblico può iniettare nuove risorse finanziarie per il risanamento della società, riducendo, in tal modo, il rischio di non consentite erogazioni finanziarie a fondo perduto, inefficaci rispetto agli obiettivi previsti dal legislatore. In ogni caso, l’asseverazione del Piano appare doverosa.

5. Considerazioni conclusive

Alla luce del chiaro coordinamento operato dal Legislatore fra la norma codicistica e le norme di finanza pubblica, nel caso di società a partecipazione pubblica l’azione di ricapitalizzazione della società in perdita trova un preciso limite, di carattere antielusivo, da intendersi quale divieto a ricapitalizzazioni di società in crisi grave senza effettivi sbocchi operativi.

L’eventuale ricapitalizzazione, ammissibile solo a fronte di un idoneo piano di risanamento, dovrà attestarsi nella misura del minimo legale, salve ragioni speciali, previste o comunque rinvenibili nel piano di risanamento, idonee a giustificare, nel caso concreto, una ricapitalizzazione superiore che dovrà, pertanto, essere analiticamente motivata dall’Ente Socio, ai sensi dell’art. 5, comma 1, del TUSPP, previo un idoneo approfondimento istruttorio diretto ad evidenziare le ragioni della ricapitalizzazione e di quelle che, eccezionalmente, inducano a effettuarla in misura superiore al minimo legale.

 

Focus di Ciro D’Aries, Alberto Ventura

Il Societario, 27 luglio 2022

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